La Grotta Azzurra scoperta per caso dal pittore prussiano August Kopisch
La Grotta Azzurra è uno dei primi pensieri che si formano nella mente di chi sogna o pregusta la sua vacanza sull’isola di Capri. Conosciuta in tutto il mondo, per l’unicità del gioco di luce che, filtrando da una apertura sottomarina, rende l’acqua di un colore blu intenso, e per l’angusta entrata possibile solo stendendosi sul fondo delle piccole barchette a remi, la sua storia è stata caratterizzata da alterne fortune.
Epoca Romana: il Ninfeo di Tiberio
Ai tempi dell’imperatore Tiberio la grotta, situata sul versante nordovest della costa di Anacapri, era un unicum con un complesso imperale che sorgeva nella zona sovrastante di Gradola e fungeva da ninfeo. Al Novecento risalgono gli studi dell’archeologo Amedeo Maiuri, che hanno portato alla luce diverse statue che, oggi, possono essere ammirate nel museo della Casa Rossa di Anacapri. Inoltre, all’interno della grotta si può apprezzare una sorta di piattaforma sul livello del mare risalente a quell’epoca. Fra le varie gallerie che si diramano da quel versante della grotta ci sono alcuni cunicoli, attualmente inesplorati, per via dell’aria troppo rarefatta. Si dice che collegassero direttamente la grotta alla villa, ma siamo praticamente nel campo delle leggende.

L’oblìo e le superstizioni
Sono proprio le leggende che rappresentano una parte molto interessante e sconosciuta ai più della storia della grotta, che dopo l’epoca romana cadde nell’oblio generale. Anzi, attorno ad essa iniziarono a circolare leggende nefaste, probabilmente proprio a causa dell’insolita luminescenza che non veniva attribuita ad un fenomeno naturale, ma a spiriti, diavoli e streghe. Una circostanza che, secondo alcuni, avrebbero portato addirittura alla follia due preti. Quel tanto che bastò per tenere alla larga per secoli gli ardimentosi uomini di mare capresi che, più che delle tangibili insidie del mare, erano suscettibili alle superstizioni.
August Kopisch: il fautore del mito di Capri

Possiamo immaginare quella sera d’estate del 1826 quando da una chiacchierata fra il pittore prussiano August Kopisch e il proprietario della locanda Pagano, il notaio Giuseppe Pagano, venne fuori la storia di questa grotta maledetta, che lo stesso Pagano avrebbe voluto visitare ma non aveva mai trovato nessuno che se la sentisse di accompagnarlo. Kopisch e il suo compagno di viaggio e collega Ernst Fries non se lo fecero ripetere due volte e reclutarono per la spedizione esplorativa un marinaio isolano, Angelo Ferraro detto il Riccio. Il gruppo, al quale si aggregarono il figlio dodicenne di Pagano e un asinaio, Michele Federico, partì di buon mattino il 17 agosto 1826 a bordo di due barchette, nonostante un ultimo tentativo da parte del canonico Nicola Pagano, fratello del proprietario della locanda, di fermare la spedizione per preservarli dai malefici della grotta. Ci furono momenti di esitazione davanti allo stretto pertugio dell’ingresso, ma alla fine il Riccio ruppe gli indugi ed entrò a bordo di una tinozza che ne trainava un’altra con una torcia infuocata per far luce. Appurato che non vi fossero spettri, anche il resto del gruppo fece il trionfale ingresso nel «Duomo Azzurro» forse inconsapevoli di essere protagonisti di un punto di svolta della storia dell’isola che da «uno scoglio dove abitava un semplice popolo di pescatori e giardinieri, e lo scalpitar dei cavalli e il rotolar delle carrozze erano sconosciuti» (Kopisch, August. La Scoperta della Grotta Azzurra. Intra Moenia, 2016) divenne parte integrante dell’itinerario del Grand Tour, che diede inizio alle sue fortune. Il resto è storia conosciuta, ma immaginiamo se quella sera alla locanda Pagano avessero parlato d’altro…
Ugo Canfora
Credit: Costantino Esposito