Presentato alla 75° Mostra del cinema di Venezia, è un’opera che s’ispira alle gesta di due diversi artisti: Karl Diefenbach e Joseph Beuys
La Grande Guerra sta per colpire il Paese. Una rivoluzione geopolitica, che però è lasciato sullo sfondo di Capri. Si percepisce solo il suono nelle parole di alcuni personaggi del film di Mario Martone, marcando un momento storico che cambierà tutto il Novecento. Ma non è l’unica. Capri Revolution, presentato alla 75° Mostra del cinema di Venezia, racconta la rivoluzione sotto più livelli: sociale, artistica e, non per ultima, personale. Il punto di vista del racconto è quello di una ragazza, Lucia, interpretata da Marianna Fontana. È una giovane isolana. Una donna nel pieno dei suoi vent’anni. Lucia deve però far fronte alla condizione di salute del padre. La malattia l’ha reso fragile dopo essere entrato in contatto con gli ingranaggi dell’industria, compromettendo la sua salute.
Il primo contatto
Lucia non ne vuole invece sapere di andare via dall’isola di Capri. Vuole mantenere intatto il suo legame con la terra e le sue funzioni assegnatale fino ad ora. Deve tenere a bada il gregge, portandole a pascolo senza però sconfinare oltre la montagna. Lì, dicono i fratelli, ci sta il diavolo, anche se dall’aspetto non sembra avere delle fattezze demoniache. È un pittore, che ha scelto Capri come ispirazione per la sua arte. Le sue opere da tempo non si fermano più alla tela, ma si estendono a rappresentazione di un concetto e di un vissuto. Il paesaggio diventa per Seybu uno spazio bianco su cui attingere il proprio pensiero, in un flusso di energia che va solo incanalato e gestito secondo la propria coscienza.
La ragazza non può che venire travolta all’inizio da questa forza dirompente. Come se non si fosse in realtà accorta di questo potere. Nasce in profondità dell’isola; e non si ferma al solo sguardo, ma coinvolge tutti i sensi in una sinfonia di piacere.
Capri Revolution, il doppio che non divide
Lucia mostra la sua ribellione, consapevole del suo destino, di poter decidere in fondo sulla sua vita. Comincia a instaurare una relazione con una comunità che di fatto, apre a una rivoluzione che scoppierà 50 anni più tardi. Capri, però, era già al ’68. Ha intercettato quel flusso molto prima delle grandi città. Saranno i colori, l’incanto di un’isola misteriosa affacciata sul Mediterraneo. Ma è un dato di fatto.
Eppure, Lucia deve comunque affrontare altre forze uguali e contrarie. Lo scontro familiare era inevitabile, vista la condizione della donna dell’epoca che non poteva sconfinare oltre i confini imposti dalla società (o dai fratelli, che non vedono di buon occhio la sua partecipazione all’interno di quel gruppo).
Allo stesso tempo, c’è il ruolo di Carlo, il medico dell’isola, che invece è conscio del cambiamento in atto, a differenza dell’immobilismo degli abitanti della zona. Lui crede però nella scienza, che in questo caso andrà a scontrarsi con l’ideologia dello spirito di Seybu, un personaggio che attinge alla vita e alla carriera di Karl Diefenbach.

Ma è un conflitto ad armi pari, dove il rispetto reciproco è uno dei punti che emerge di Capri Revolution. Si crea incredibilmente un equilibrio che lo stesso autore Mario Martone vuole restituire allo spettatore lasciando spazio a entrambe le idee. Dal punto di vista concettuale sono agli antipodi, ma la loro voce conta. Sono, volente o nolente, le due facce della stessa medaglia, ed è grazie alle queste due forze opposte, la ragione e lo spirito, che il mondo può muoversi e progredire. Un po’ come i due poli che forniscono l’energia alla lampadina nell’opera di Joseph Beuys, Capri-Batterie.
Capri tra natura e cultura
Il tema del doppio di Capri Revolution riguarda anche la natura, messo in stretta relazione con i personaggi del film. Ed è raccontato da Martone lasciando che sia il suo ritmo a parlare, tramite le forme frastagliate delle rocce dall’alto, e i movimenti sinuosi delle onde in basso. Le larghe inquadrature offrono uno scenario idilliaco al racconto, che pare frutto di un tempo indefinito, se non ci fossero quei dettagli sul conflitto a fornire un percorso preciso agli eventi. Ma è questa la vera forza del film: lasciare sospeso il tempo, così da unire epoche distanti, ma accomunate dal desiderio di cambiamento.
Riccardo Lo Re
