L’artista siciliano ha mixato il primo album con Mercury/Polygram, L’imboscata, che contiene uno dei suoi brani più celebri
Una delle voci più potenti e rivoluzionarie della musica italiana si è spenta troppo presto. Franco Battiato aveva ancora molto da dire. È il pregio, ma anche la condanna, di un grande maestro, quello di continuare a trasformarsi e di mutare la propria forma seguendo il proprio istinto e le curiosità del suono. Il suo spartito era sempre libero da ogni ritmo, e Battiato sapeva sempre come riempirlo, giocando con le melodie capaci di sperimentare con le onde sonore e con dei testi tra arte e filosofia. Non sorprende infatti che le strade di Franco Battiato si siano a un certo punto intrecciate con quelle dell’isola di Capri, considerata da generazioni la terra degli artisti, ammaliati dall’energia ancestrale nascosta in ogni suo panorama. Per comprenderla bisogna davvero viverci, conoscerla in tutta la sua essenza. E captarne ogni messaggio non era mai facile, se non per chi riesce a oltrepassare la superficie, scavando in profondità per poi far emergere dei pensieri che esulano dal tempo e che si traducono in emozioni sconfinate.
La carriera
Franco Battiato ci ha lasciato delle vere e proprie opere musicali, intrise di suoni che spaziano dal progressive rock alla classica e all’elettronica, senza mai incastonarsi in facili pregiudizi. Li ha sempre sfidati, e li ha vinti con dei brani sperimentali nella forma e nel contenuto del testo. I confini non lo avevano mai bloccato. Da un piccolo paese di Catania, Reposto, si trasferì a Milano aprendo gli spettacoli del Club 64 di Enzo Jannacci e Giorgio Gaber, che fu il primo a lanciarlo procurandogli un contratto discografico con Jolly. Durante la trasmissione Diamoci del tu, condotta da Gaber e da Caterina Caselli, si trovò di fronte un giovane Francesco Guccini alla chitarra. E da lì, per non confondersi con l’autore di Pavana, decise di dare un taglio al suo nome in Franco. L’unico della sua carriera, dal momento che negli anni continuò ad aggiungere grande valore alla musica italiana negli anni successivi. Alle canzoni di protesta seguirono quelle romantiche, dove riuscì a distinguersi per la sua ricerca sperimentale attorno a vari temi del nostro tempo, attirando la curiosità del pubblico e della critica. Dopo gli album Fetus e Pollution, il successo arrivò con La voce del padrone, che contiene tra le varie cose, i brani Centro di gravità permanente, Bandiera Bianca e Cuccurucucù, frutto del sodalizio con il violinista Giusto Pio.
L’imboscata, l’album mixato a Capri
Il successo non fermò la sua spinta rivoluzionaria. Al contrario, la sfruttò proprio per continuare quella che è una grande sfida della sua musica. Voleva dimostrare al pubblico che una canzone colta, mistica, filosofica, alta è possibile usando i giusti ingredienti. E ci riuscì con la forza di quelle sette note, capaci di creare delle sinfonie che raccolgono il meglio dalle tradizioni della musica classica, e le potenzialità espressive dell’elettronica. Basterebbe semplicemente ascoltare E Ti Vengo a Cercare per sentire questo connubio legato alla musica di Battiato, ma c’è un album in particolare, L’imboscata, che aggiunge un altro tassello a questa grande carriera dell’autore siciliano: le parole del filosofo Manlio Sgalambro.
Il disco, scritto e composto nel 1996, prese parte della sua influenza da due città molto particolare. La prima fu Parigi, mentre l’isola di Capri divenne il centro di gravità dove avvenne l’intero mixaggio, ai Capri Digital Studios di Carloquinto Talamona. Lì ci entrarono solo i grandi, da Sting e Zucchero agli Aerosmith, e Franco Battiato non poteva non essere in quella lista, lasciando per altro il segno con un disco sensazionale per come venne concepito. Il disco comincia con un brano che ha come intro una citazione in greco di Eraclito letto con la voce profonda dello stesso Manlio Sgalambro. Tutto è di passaggio, e da questi passi filosofici si viene accompagnati verso un suono rock graffiante di David Rhodes alternato dalla voce suadente di Antonella Ruggero. Durante la lavorazione del disco a Capri, oltre alla presenza degli archi del Nuovo Quartetto Italiano, si aggiunse un altro timbro femminile, che è quello di Nicola Walker Smith. Lei andrà a intrecciare la sua voce sgargiante con quella di Franco Battiato in un duetto quasi parallelo, dove il rischio era davvero dietro l’angolo. Ma con Strani Giorni si riuscì a creare una sinergia di linguaggi, con il contrasto tra l’inglese e l’italiano diventa un grande punto di forza fino ad esplodere con gli assoli di chitarra.
L’isola di Capri si può dire che fu determinante anche per una canzone apprezzata dal pubblico, La cura, che dopo questa breve parentesi di chitarre entra dritto nel cuore con una melodia dolce che può essere interpretata in vari modi. C’è chi la legge come una canzone d’amore, e chi invece la considera come una ricerca spirituale verso qualcosa di assoluto e perfetto. Resta tuttavia una delle opere più profonde di Franco Battiato, nonché una delle più personali per chiunque lo abbia mai ascoltato.
Riccardo Lo Re
