leccio a capri

Il leccio, l’albero che stregò Augusto

Sull’isola di Capri il leccio è una delle piante caratteristiche, presente sin dall’antichità. Come racconta Svetonio in le Vite dei Cesari

Storia e natura sono da sempre interconnesse tra loro. Lo dimostrano i racconti e le testimonianze giunte fino ai giorni nostri. Ci insegnano l’importanza del luogo come protagonista, e non solo come scenario storico. L’isola di Capri deve molto della sua ricchezza a una pianta particolare, il leccio, contraddistinta per la sua longevità e la sua capacità di adattamento al clima mediterraneo dell’isola. Una specie sempreverde, che arricchisce con i suoi colori l’intero panorama, dalla corteccia scura alle foglie vistose lungo la Selva del leccio ad Anacapri. Può raggiungere i 20 metri di altezza, per via del suo legno resistente che garantisce solidità alla pianta. Ma non è solo quello a renderlo speciale. L’ampiezza del leccio viene raggiunta anche attraverso i suoi rami, che si estendono come lunghe braccia verso l’esterno, restituendo una forma curva nelle sue estremità. 

Le qualità del leccio

Certo, anche i dettagli contano. E il leccio, con le sue foglie, non fa differenza. Il lembo fogliare dice molto dell’identità della pianta. Sono dure, rispecchiando la qualità dell’albero. E sono lisce nella parte più esposta, e ruvide nella zona nascosta dalla luce del sole. La loro forma varia a seconda della specie. Possono essere a margine intero, semplici in ogni suo aspetto, ma a volte si possono trovare delle leggere sporgenze regolari, creando dei piccoli margini dentati. 

Con la primavera, si risveglia. Compaiono i primi fiori. È il primo segnale dell’arrivo delle temperature calde nell’isola di Capri. Il leccio produce sia dei fiori maschili, sotto forma di armenti gialli, che femminili, che in questo caso sono delle spighe unite in gruppi da 6-7 fiori. Non appena l’estate lascia spazio all’autunno, anche l’albero cambia i suoi connotati. Il verde floreale lascia il posto al castano. Ed è il momento delle ghiande (o lecce), che crescono singolarmente o aggregati come le foglie. La consistenza sta tutto nel cuore di questo frutto autunnale, ma ciò che davvero colpisce è la cupola, l’involucro che copre la base dalla testa fino alla metà della ghianda. 

Il leccio ne La vita dei Cesari

Fino adesso si sono descritti i suoi particolari. Ma è l’impatto a essere determinante quando si arriva sull’isola. La natura sa come accogliere l’uomo con uno spettacolo di forme e colori. E uno dei primi a cadere in questo tranello fu uno dei protagonisti del periodo romano: Ottaviano Augusto. Ma come fu accaduto che una figura così forte, che non conosceva la sconfitta sul campo di battaglia, rimase ammaliato da questa pianta? Il “come” lo spiega Gaio Svetonio ne Le Vite dei Cesari, dove in uno dei passi racconta di come il condottiero credesse molto negli auspici. Buoni o cattivi che fossero. E lo fa con degli esempi calzanti, e non è solo un gioco di parole. Non era una buona giornata se per sbaglio indossava la scarpa sbagliata. Mentre, al contrario, lo era se si presentava la rugiada, soprattutto in occasione dei lunghi viaggi. 

Trovò incredibile, quando toccò la terra di Capri, vedere proprio il leccio, al momento privo di foglie, riprendere vita al suo passaggio. Dopo la battaglia di Azio del 31 a.C., quello fu per Augusto un altro segno premonitore della sua grandezza e del suo potere su Roma e sul Mediterraneo. E benché, secondo il suo pensiero, nulla viene dettato dal caso, decise di scambiare l’isola di Capri, all’epoca sotto il controllo di Neapolis, con Ischia (Enaria, si legge nel testo). E da qui, con la costruzione della villa Palazzo a Mare a Marina Grande, Capri, chiamata dall’imperatore Apragopolis la città del dolce fare niente, cambiò il corso della sua storia, diventando il centro delle politiche dell’Impero. E lo deve tutto alla natura. 

Riccardo Lo Re