“Qvisi et nunc”: filosofia in cucina con lo chef del Quisisana
Qvisi et nunc, al tavolo del Grand Hotel Quisisana il rito del desinare non si compie a ore determinate, piuttosto accade come un miracolo semplice.
Il menu dello chef Stefano Mazzone, a sfogliarlo bene, è piuttosto un dizionario ragionato di miti, tradizioni e sapori dell’isola di Capri.
Una rivelazione, proprio perché rinnova la vocazione gastronomica locale ed esalta l’antica arte dell’ospitalità, senza concedersi a vanità e frivolezze che non racchiudono lo spirito caprese.
Una cucina che esprime la filosofia di quel giovane cuoco di Treviso che, a 31 anni, diventa executive chef del Quisisana e che oggi, a 45 anni, osserva le mille contraddizioni di Capri attraverso la vetrata del suo albergo.
Una passione incondizionata che ha influenzato il suo modo di pensare e che solo chi vive a Capri, ma non è nato sull’isola, può provare.
«Il Quisisana è Capri ma è anche casa mia. Un legame indissolubile anche perché sull’isola trascorro più tempo che con la mia famiglia. Sentirmi parte del sistema Quisisana è motivo di orgoglio e tutto il resto diventa secondario, dal momento che ho scelto di vivere in questi spazi tutta la mia giornata»
– racconta Stefano Mazzone – «Nel tempo libero che ho a disposizione resto sull’isola, esplorando i luoghi più solitari e ammirando i paesaggi, o in compagnia dei miei pochi veri amici. A Capri si vive questa dipendenza, in un meccanismo così impegnativo che però ti porta a conoscere meglio te stesso, tra le mille sfaccettature dell’isola. Io sono nomade per definizione e ho sempre amato viaggiare ma ormai mi rendo conto che, avendo Capri come termine di paragone, nulla mi soddisfa come questa isola, capace di allontanarmi anche dalle mie abitudini. Solo ora capisco che quando giro il mondo in cerca di esperienze gratificanti, in realtà rincorro l’isola o qualcosa che le somigli.»
I suoi piatti, prima di tutto, sono la risposta a una ricerca interiore e a una fame continua di conoscenza.
«Capri è un mondo a parte, crocevia di personalità, contraddizioni, qualità, lacune ed eccessi, nel bene e nel male» – spiega l’esecutivo chef del Quisisana – «I miei genitori sono siciliani, isola che è in realtà uno Stato, e io sono nato a Treviso ma mi sento parte integrante del Sud, scelto per una precisa volontà e mai rinnegato, come fanno in molti. I contrasti di Capri sono gli stessi che leggevo nei libri di Leonardo Sciascia, quando raccontava la mia Sicilia. Un luogo provinciale ma intrigante, un porto piccolo ma legato a una fruizione globale. Una storia di eccellenza incredibile che nessuna località al mondo può contendere e che potrà essere valorizzata maggiormente solo quando Capri e Anacapri rinunceranno al loro narcisimo. Il nostro ruolo è contribuire ad acculturare i turisti, rendendoli partecipi della storia caprese e consapevoli di tutte quelle meraviglie, anche meno note, che si trovano sull’isola e che spesso neanche i giovani capresi conoscono o frequentano, come il Parco Astarita e il sentiero del Passetiello, ma anche le casette abbandonate sulla roccia che evocano una Capri che in molti credono smarrita.»
Quasi ci si dimentica di parlare con lo chef di uno degli hotel più importanti al mondo, degustando semplicemente una fetta di pane e pomodoro.
«Parlare dei miei piatti è un concetto limitativo. Io sono innamorato delle tradizioni e cerco di tramandare la conoscenza della cucina caprese. Colleziono oggetti rari del Quisisana e ogni giorno scopro una miniera di curiosità. Capri è stata una delle capitali del Futurismo ed è con quel movimento che nasce il termine tramezzino, coniato proprio per contrastare il sandwich straniero» – sottolinea Stefano Mazzone – «Probabilmente, proprio in questo hotel è nata la caprese, in occasione del famoso discorso di Filippo Tommaso Marinetti al Quisisana, un atto di ribellione contro la cucina dell’epoca. In un nostro menu del 1924, scritto in francese, è presente anche il risotto alla milanese. Si apre un nuovo mondo perché, prima di realizzare un piatto, devi sempre capire chi sei. Cucinare per me significa saper raccontare la nostra storia, riconoscerla ed esprimere l’identità di Capri. Non siamo interessati a stupire i nostri clienti, non ne abbiamo bisogno, noi ci accontentiamo di fare bene quello che sappiamo fare da secoli.»
Antonello De Nicola