Casatiello
(c) Catherine Reyes

Sua Maestà il Casatiello

Tipico rustico della tradizione napoletana, è sicuramente, fra le prelibatezze pasquali, quella che evoca più allegria

Esagerato e opulento nei contenuti, il casatiello porta con sé un’idea antica di cucina spontanea e di aggregazione. Per conoscerlo bisogna partire dalle basi: che differenza c’è fra tortano e casatiello? Andiamo a scoprirlo. 

Tortano o Casatiello?

Molto spesso si confonde fra i due tipi di rustici, o si usano questi due nomi arbitrariamente. La differenza è molto semplice: per definizione il tortano ha una forma a ciambella, le uova sode sulla superficie bloccate da due strisce di pasta a forma di croce e l’impasto è molto più semplice, spesso condito solo con un pizzico di pepe. Il Casatiello, invece, può avere le uova sode intere all’esterno o a pezzi all’interno, ma l’impasto è letteralmente un’esplosione di sapori e di consistenze diverse. Cerchiamo di non pensare alla quantità di sugna che viene adoperata, un dettaglio irrilevante in confronto all’estasi sensoriale di quando si taglia il Casatiello e lo si apre. Il profumo del soffice impasto, appena tirato fuori dal forno, e il tripudio di salumi e formaggi che si palesano alla vista e all’olfatto è qualcosa che sorprende ogni anno. 

Casatiello
casatiello

La tradizione pasquale

Sull’isola, come del resto in tutta la Campania, si usa aprire il pranzo pasquale proprio con il Casatiello accompagnato dalla tradizionale fellata, ossia un tagliere di salumi e formaggi dove spicca la particolare ricotta salata. E visto che il pranzo pasquale è lungo e impegnativo molto spesso il Casatiello avanza e qui si trasforma in poesia. Il giorno dopo diviene il protagonista della consueta scampagnata del lunedì di Pasquetta. Gli amici si incontrano per picnic o barbecue e da diverse cucine convergono sullo stesso desco gli avanzi di differenti Casatielli, oltre a quelli preparati ad hoc per l’occasione. È qui che, simpaticamente, si «scontrano» le varie scuole di pensiero, una sana competizione che porta ogni anno i maestri del Casatiello, anziani e giovani, a cercare di superare loro stessi. Tutto questo per la felicità dei commensali che traggono solo vantaggi da questi faticosi duelli culinari, perché dietro un buon Casatiello ci sono ore di lavoro e di paziente attesa.

Non è solo il cavallo di battaglie delle nonne

Il sapere dietro a un casatiello ben riuscito scaturisce dall’esperienza di generazioni antiche, ma attira particolarmente i giovani. Chiediamo a due connoisseur, non professionisti della cucina, cosa significhi per loro questa pietanza di culto.
Giancarlo, 34 anni, archeologo con la passione per i lievitati: «Mi sono innamorato del casatiello dopo la prima volta che ho provato a farlo. Ho visto la gioia negli occhi dei miei amici e non ho potuto fare a meno di provare di anno in anno a migliorarlo. Il mio pallino? L’impasto deve essere arravogliato, ovvero attorcigliato, solo così alla fine si otterrà quell’effetto a spirale che consente al ripieno di distribuirsi omogeneamente.»
Antonella, giornalista e content manager trentenne: «Non può essere Pasqua senza il profumo del casatiello che invade la cucina e condensa in sé la cultura dell’attesa della tradizione napoletana. La sacralità è tutta lì, nel fare la pasta, aspettare la prima lievitazione, farcire, aspettare la seconda e osservare, come bambini, il suo crescere dallo sportello del forno. È buonissimo anche con l’olio, come si usa farlo oggi, ma per me quello vero è il tradizionale, fatto solo ed esclusivamente con la sugna, proprio come le ricette delle nonne.»

Ugo Canfora

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