Il cinema di Totò, spontaneo e irriverente, trova sponda all’Isola di Capri, dove si spaccia per il bey di Agapur
Totò e l’imperatore di Capri è il secondo film diretto da un giovane Luigi Comencini, autore di capolavori come Lo scopone scientifico e Le avventure di Pinocchio. E a proposito di avventure, ce n’è stata una ancora più incredibile con al centro una delle figure più rappresentative dell’arte napoletana, lo straordinario Totò. Sempre di bugie ed equivoci si tratta, ma lo scenario del film ruota attorno all’Isola dei sogni, dell’amore, celebre un tempo per la presenza di sirene. L’isola di Capri viene vista così da Totò, ma prima vuole introdurre al pubblico i protagonisti di questa storia, da buon frequentatore del teatro italiano. Il cinema prevede i titoli di testa. Ma ormai si conosce Totò. È un personaggio che rompe gli schemi, guarda diretto negli occhi lo spettatore, e sconvolge con la sua personale ironia. Dunque, non c’è da stupirsi che un film si apra con lui in primo piano a portarvi nel suo mondo.
Il cinema e le sue maschere
Il sipario si è aperto. Bisogna cambiarsi al più presto. Ma il pubblico non si troverà di fronte alla classica veste tipica di Totò, con la bombetta e un frac che ha bisogno di una leggera accorciata. Siamo sull’isola di Capri, ma quella antica, dominata dall’imperatore di Roma, Tiberio. Ma i lineamenti non lasciano spazio a dubbi. È Totò, con il suo modo farsesco, ma con dei tempi comici originali.
Solo in un secondo momento si scoprirà che quello è un mondo fittizio, frutto del sogno del personaggio di Antonio de Fazio. E si cambia maschera. Quella che tutti associano alla sua comicità irrefrenabile, spontanea, che sconfina nel limite tra ciò è possibile, e ciò che invece è proibito. E non si parla solo del linguaggio, ma dei comportamenti e le azioni che lo porteranno all’isola di Capri. La famiglia, infatti, lo ha già inquadrato per bene. Della suocera si sa cosa pensa del genero. Ma c’è un cognato piccolo piccolo che come una vedetta riferisce tutto ai familiari.
L’occasione di svolta, con l’ennesimo cambio di maschera, avviene nell’hotel dove lavora come cameriere. Lì viene scambiato per il bey di Agapur da una splendida donna, Sonia Bulgarov (Yvonne Sanson), di cui si innamora follemente. E questa diventa un’opportunità per cambiare vita e allontanarsi da quella monotona e opprimente di quella vissuta. Ma staccarsi da Napoli e dirigersi all’isola di Capri comporterà non pochi imprevisti al povero Antonio. Contrapposti, bisogna dirlo, ai piaceri per gli occhi di Totò, a giudicare dalla vista della Marina Piccola, i Faraglioni, l’Hotel Quisisana e le sue scogliere rocciose.


Il linguaggio di Totò
Totò e l’imperatore di Capri è un film che mostra tutto il repertorio del suo cinema. Dissacrante, spiccato, unico per il tipo di linguaggio utilizzato. Su questo punto si gioca molto il personaggio di Totò, che in questo racconto gioca molto con le espressioni che appartengono al suo vocabolario. Si passa dagli spiccati doppi sensi (si pensi alle prime scene del sogno), alle formule classiche più volte comparse in altri celebri film («sono un uomo di mondo! Ho fatto tre anni di militare a Cuneo»). Si tratta di uno schema preciso dove le caricature borghesi rappresentate da Totò vengono ridicolizzate partendo dai suoi stereotipi. Lui stesso, con le sue movenze confuse e istintive, non fa che mostrare i difetti più marcati. Persino la morte, un tabù ancora oggi difficile da scardinare per mezzo della satira, viene preso di mira da Totò e l’imperatore di Capri con delle sequenze bizzarre e originali, quasi a rimandare al genere horror ma con lo stile comico che più lo contraddistingue.


Tutto in questo film è deformato e fuori dagli schemi ordinari. I ritmi forsennati, i gesti spinti al limite della logica e le espressioni accentuate di un personaggio che al pari di un burattino si trova in balìa dei fili degli eventi, senza che ne abbia mai il controllo. Ma l’imprevedibilità di Totò è ciò che lo ha reso eterno.
Riccardo Lo Re
Credits: Cristaldi Film