Mitchell Goodman, giornalista del New York Times, rimase folgorato dalla sua bellezza durante la sua permanenza sull’isola
Uno dirà: cosa c’è di bello nello spolverare dei vecchi giornali quando ci sono fior fiore di guide interattive che descrivono ogni singolo angolo dell’isola di Capri? Domanda più che comprensibile. Ma solo osservando le pagine del passato si può scoprire che il tempo è l’unità in grado di misurare con assoluta precisione la bellezza di un luogo. Chi vive nel presente non ci fa caso, ma Capri, che ha molti più anni di noi, ha certamente battuto a mani basse questa ostilità che cerca ogni giorno di corroderla. La ragione viene praticamente spiegata nella prima parte di un articolo, dal titolo Capri’s Syntetic and Authentic Charms. Mitchell Goodman, giornalista del Times, cerca infatti d’interrogarsi su questo posto avvolto dal mito. «Quale altra ha ottenuto così tanta fama in soli quattro miglia di terra e una popolazione di 10 mila abitanti?». Ci deve essere qualcosa sotto. La sua bellezza mediterranea, le sue rovine poetiche, il viaggio spensierato che ti porta fino all’attracco. Sono sentimenti comuni a tutti i turisti che scelgono di attraversare il Mediterraneo in cerca di avventure ed emozioni. Ma nonostante l’infinità di scelta qui in Italia la gente già all’epoca era categorica: c’era solo una meta, ed era Capri.


Capri, un posto delizioso e ricco di storie
Mitchell Goodman era in cerca di una risposta a questa sua curiosità, e sebbene l’isola fosse piena di buone ragioni per visitarla (dalla natura sconfinata alla presenza di monumenti praticamente ovunque), la fonte di attrazione andava trovata attorno al suo nome. L’isola di Capri, usando l’espressione coniata da Larousse e ripresa dal giornalista, è «un luogo di delizia e soprattutto di dissolutezza» su cui si sono sviluppati racconti ancora oggi intatti. Svetonio e Tacito furono ad esempio i primi a descrivere le gesta dei protagonisti di quel periodo, a cominciare dall’imperatore Tiberio. Ma quel che successe da lì in poi fu qualcosa di sorprendente. I capresi, decisi a mantenere viva la memoria di quel periodo, sfruttarono quel ricordo immutato e lo trasformarono in un volano di emozioni. D’altronde tutti sanno che questa è un’isola di cantastorie (This is an island of story tellers), come si legge nel pezzo, ed è ancora così grazie anche alle firme di inestimabili scrittori come Compton Mackenzie e Norman Douglas, e alla musica che riecheggia sotto varie forme, dalla classica Tosca descritta da Goodman ai concerti che si tengono a Villa San Michele. La terra delle sirene è così cresciuta alimentandosi di questi miti, in un equilibrio perfetto che punta a raccogliere quanto seminato nel corso del tempo. Quando poi tutto questo si conserva, vuol dire che la leggenda collide fino a coincidere con la realtà, che nel caso di Capri si può vedere e toccare con mano.
Riccardo Lo Re