La storia della bella Carmelina, che nel suo punto di ristoro ballava dicendosi un’emissaria dell’imperatore Tiberio, dimostra che Capri è tutto, anche l’avverarsi dei suoi stessi fantasmi
Se balli col Diavolo dovrai ballarci fino alla fine. Carmelina Cerrotta detta la bella, è la danzatrice che trascina l’isola di Capri e il suo immaginario all’estremità irrazionale di una tarantella scegliendo, come epilogo della propria esistenza, di lanciarsi in volo.
C’è un destino e una premonizione nella storia della ballerina che flirtava con il fantasma di Tiberio, l’imperatore romano che, nelle notti di luna piena, si racconta facesse precipitare i suoi schiavi ai piedi di Villa Jovis a un passo dal Salto, lo strapiombo a picco sul mare.

Nella storia vera di Carmela Cerrotta che a soli 20 anni, all’inizio del Novecento, apre un’osteria accanto alla dimora di Tiberio, vi è una sorta di fascinazione letale che si insinua tra il vino e la frutta offerti ai turisti di ritorno dalla passeggiata sotto il sole alle rovine di Villa Jovis. La giovane donna, segnata da una bellezza saracena, è l’abile intrattenitrice che con sorprendente creatività racconta aneddoti legati a Timberio, così soprannominato dai capresi. Sostiene di aver ereditato ritmo e movenze direttamente da una delle ancelle dell’imperatore giurando che di notte, con il plenilunio, lui vada a trovarla svelando intrighi, vizi e turbolenze di una vita da condottiero. E sembrava davvero che attraverso Carmelina l’imperatore romano potesse scendere in mezzo ai vivi: il pathos con cui la donna racconta la rende credibile. Riporta in vita un Tiberio scuro in volto, infelice, insomma un uomo straordinariamente irrisolto che trova conforto, tra musica e danza, solo nelle cure delle proprie ancelle.
Carmelina è una guida turistica impareggiabile: la fantasia di dettagli nei suoi racconti ammalia, rendendo davvero difficile distinguere il confine con la realtà. E quando a mezzanotte, complici il vino e le stelle, Carmelina, scalza e attraversata da un furore mistico, incanta i presenti con il suo ballo, nacchere e tamburelli segnano il tempo di corpi in tumulto. La passione trova i suoi gesti, la mente uno spazio di sogno che Jung definirà, pochi anni dopo, come luogo della verità. La fantasia entra ancora una volta nel vero e la notte, fonda come il cuore della Grotta Azzurra, rende vive antiche storie di demoni. Quell’infero nella roccia, che una volta veniva chiamata Gradola, da cui i naviganti se ne stavano alla larga, ha contribuito, così come la vicenda della bellissima Carmelina, a costruire negli anni l’assetto di un pensiero sul mistero che svela superstizione e insieme impone razionale prudenza. Vere o presunte le entità che abitano la cavità della roccia, o quelle dei sogni, consigliano una sola cosa: cautela. L’isola ha da tempo appoggiato la scelta di Ulisse: rimanere legato all’albero maestro di una solida imbarcazione; nella terra di miti e leggende dove i misteri e le coincidenze si intrecciano a luoghi d’incanto e a personaggi affascinanti, dove l’aurea mitologica che avvolge gli eventi a tratti si fa inquietante, è perfettamente adeguato proteggersi. Capri lo ha sempre saputo e se ne sta in silenzio mentre le sirene con il loro segreto non riusciranno ad ottenere Ulisse. Muta anche in questo caso in cui però è una sirena che incanta a rimanere vittima del suo stesso sortilegio.

Per troppi anni forse sull’isola la sensualità delle movenze, il ritmo della musica e i racconti di Carmelina coincisero col risveglio del fantasma di Tiberio, con i racconti dei complotti imperiali che affascinarono molti tra i personaggi illustri che frequentavano l’isola, da Guglielmo II al Kaiser di Germania, all’archeologo Amedeo Maiuri: fu quest’ultimo a mettere fine alla popolarità e ai racconti della bella Carmelina, riportando alla luce con i suoi scavi, le rovine e i tesori della villa di Tiberio. I ritrovamenti tolsero alla donna lo spazio d’immaginazione necessario alle sue narrazioni, i turisti ormai passavano indifferenti davanti al locale, ignari dell’anima affabulatrice della stravagante proprietaria. Desolata e in controtempo, come la vita di Tiberio, Carmelina è in preda a una sorda confusione, taglia i suoi abiti da ballerina e li brucia; poi, in una torrida giornata di luglio del 1950, si getta dal balcone di casa.
Forse esplorando gli effetti paralizzanti di un rito intraducibile come solo può esserlo un’ossessione, arriva la sua morte di cigno. Carmelina conclude una tarantella napoletana, antica liturgia della seduzione, e cerca conforto nel vuoto dove continua la leggenda che il fantasma di Tiberio abbia strappato al mondo dei vivi la sua ancella più devota o forse solo la più ostinata. Lievita l’inconscio popolare nell’unica ipotesi che sia il sovrano ad aver compiuto in questo modo l’ennesimo atto di egoismo prima di abbandonare per sempre Capri.
Così, in una rappresentazione che si rifiuta di comprimere la realtà di Carmelina Cerrotta nell’impossibilità di affrontare la verità, il passare degli anni e di quelle ruspe che portano disillusione e macerie, resta una lapide fra via Tiberio e via Lo Capo, il sapore aspro del vino bianco Capri e una piccola storia vera, il luogo dei sogni precipita in quello degli scavi, esoterismo e musica, nella sensualità di un ballo antico, superano il confine del soprannaturale.
Anna Maria Turra