La storia dell’artista di Buffalo raccolta in una mostra a New York, raccontata da Charles de Kay sul Times
L’isola di Capri è stata – e continua a esserlo sotto altre forme – una terra di straordinari artisti. È grazie a loro che questa isola così piccola e graziosa si è estesa fino a raggiungere ogni parte del mondo per mezzo di racconti, immagini e opere d’arte. Charles Caryl Coleman si può dire che fosse uno dei suoi grandi estimatori, come dimostrano i suoi lunghi anni passati a sognare e a dipingere ogni sua tonalità, capace di mutare con il susseguirsi delle stagioni. Charles De Kay, giornalista del New York Times, riconobbe il suo genio in una delle tante mostre di New York. Ma in una sola riuscì a comprendere «lo charme di Capri» espresso nei suoi dipinti. Era il 1899, un anno esatto dal Secolo Breve, il Novecento. E Coleman lo chiuse con una rappresentazione fedele e sontuosa delle grandi virtù dell’isola di Capri.
Il Vesuvio e le sue stagioni
Charles De Kay si soffermò su un particolare che per chi abita a Capri o a Napoli può sembrare scontato. Per un americano la vista del Vesuvio, con la sua nube di fumo all’orizzonte e la sua altezza che tocca il cielo di Napoli, ebbe tutt’altro effetto sulla sua mente. Del resto, all’isola di Capri da qualunque prospettiva si veda il Vesuvio sa sempre regalare delle emozioni speciali. Ciò che fece Charles Caryl Coleman è restituirlo al mondo attraverso il tempo. Le stagioni sanno sempre lasciare un segno su qualunque paesaggio, compreso il più maestoso e potente, capace di non piegarsi alle sue influenze. Ma questo, è solo in apparenza. Il pittore di Buffalo riuscì nell’impresa di immortalarlo in quello che lui definì Songs of Vesuvius, dove il vulcano venne ritratto nelle sue vesti di maggior impatto, dal bianco della neve invernale, ai colori caldi delle foglie autunnali che spiccavano rispetto a quelli scuri delle nuvole sullo sfondo.
Capri, un brano naturale
Queste grandi canzoni furono registrate da Charles Caryl Coleman su una tela che riprodusse tutti i suoi grandi ricordi. Trecento dipinti in cui la natura risultò uno dei grandi filoni della sua carriera artistica. Il Vesuvio, che «domina il Golfo di Napoli, anche se […] in un modo gentile», fu solo uno dei tanti luoghi riportati a galla dall’artista. Da Capri ad Anacapri, Coleman dipinse un’isola immersa nella natura. I paesaggi non hanno mai smesso di illuminare con i suoi colori, fino a diventare un ornamento essenziale dell’intera isola. Per questo, i quadri di Coleman sembrano essere la diretta emanazione del presente (si pensi a The Villa Castello, Capri), se non fosse per alcuni dipinti che imprimono in ogni sua forma le tradizioni capresi e l’iconologia classica. Se si guarda Autumn in a Capri Garden, Capri Terrace near the sea o Christ Walking on the Sea, la terra e il mare restano le costanti in tutte le sue incredibili opere, esprimendo le sue bellezze statuarie in un linguaggio che non ha bisogno di traduzioni. Ma la vera brillantezza viene espressa nei gesti dei suoi protagonisti, come si vede in All’ombra dei vigneti a Capri, in cui si ritraggono le ancelle alle prese con la raccolta dell’uva, e in uno dei suoi quadri più rappresentativi, Donne nei campi di grano ad Anacapri, dove spicca il contrasto tra il rosso delle vesti femminili capresi e uno scenario dorato, che comincia dal grano e si estende fino al tramonto.
La gioia venne raccontata in ogni singola pennellata. Per questo non resta che chiudere con le ultime parole di De Kay che sembrano chiarire l’importanza del paesaggio per un artista, che non è solo il contorno attorno al quale esprimere un concetto, ma diventa inevitabilmente parte del messaggio da trasmettere al suo pubblico: «Mr. Coleman raramente si rivolge a pensieri cupi. I suoi quadri sono felici nel colore e nel soggetto, come il calore del sole di Capri e le tinte delle sue rocce e del suo mare».
Riccardo Lo Re
Fonte: As An American Sees Capri, New York Times, 23 aprile 1899