Sull’isola Camille du Locle ebbe l’illuminazione: era l’opera giusta per essere ambientata a Napoli
Ci volle un po’ di aria di mare a far sì che la Carmen di George Bizet potesse diventare una delle opere più rappresentate e più amate dai melomani di tutti i tempi. Più che una scelta fu una fuga, quella di Camille du Locle, impresario e direttore dell’Opéra-Comique di Parigi e grande sostenitore della Carmen, che scelse proprio Capri.
Scappò per bancarotta proprio per il flop che l’opera di Bizet ebbe a Parigi nel 1875 e sull’isola acquistò una piccola casa di pescatori dove rifletté a lungo sulle cause del disastro di un’opera nella quale aveva fortemente creduto; lui che di lirica se ne intendeva non poco, visto che solo qualche anno prima, grazie alla sua intermediazione, l’amico Giuseppe Verdi per l’Aida era riuscito a ottenere un compenso di 150mila franchi francesi dal Pascià d’Egitto. Sempre per Verdi, Du Locle era stato il librettista di Don Carlos, insomma, non proprio uno sprovveduto nel campo della lirica di quegli anni.
Ci aveva messo tutto il suo impegno a cercare di far cambiare a Bizet il finale. Infatti, l’opera finisce con Carmen che viene accoltellata sul palcoscenico da un suo ex amante, un sergente dell’esercito: non era esattamente quello che il pubblico del suo teatro, Opéra-Comique, desiderava. Ma Bizet non volle sentir ragione.
«Quando vi amerò? Proprio non so. Forse mai, forse domani; ma non oggi, questo è certo.»
C’erano inoltre una serie di altre peculiarità dell’opera a non essere all’epoca, gradite: la protagonista era una gitana, una zingara, ballava con eccessiva sensualità in un cabaret di prostitute; le figure maschili erano fragili, vittime di una donna scandalosa e immorale, l’assassino era un sergente dell’esercito. Troppo, per la borghesia benpensante parigina che, quando portava a teatro moglie o famiglia, voleva vedere favole a lieto fine. Se poi nel privato ci si comportava diversamente, questo era argomento che doveva rimanere appunto, privato.
Bizet voleva, invece, che la sua Carmen fosse proprio così, esattamente come vita e realtà giù dal palco, fuori dai teatri, per le vie e i cabaret notturni; Bizet voleva rappresentare la società e Carmen doveva sventolare provocante la gonna, doveva essere immorale, insolente, desiderabile e doveva morire rifiutando il suo amore all’ex amante perché «Carmen non cederà mai; libera è nata e libera morirà!»
Camille du Locle a Capri ebbe un’illuminazione: quella era stata l’opera giusta, nel posto sbagliato. Non era Parigi il luogo in cui Carmenavrebbe potuto avere successo, ma Napoli. Franceschiello, come i capresi chiamavano Du Locle affidò ad Achille De Lauzières, giornalista e librettista napoletano di origini francesi, il compito di dar vita a una versione in italiano. La casa editrice musicale milanese Sonzogno acquistò i diritti dell’opera e la prima italiana fu allestita al Teatro Bellini di Napoli, di proprietà dello stesso editore.
Non fu un successo trionfale, ma Carmen iniziò a essere apprezzata e da quel palcoscenico partì la lunga ascesa dell’opera, costituendo una splendida rivincita per Bizet e lo stesso Du Locle.
L’impresario soggiornò per parecchi anni a Capri dove morì nel 1903; sull’isola volle essere sepolto nel Cimitero Acattolico. La sua abitazione, situata lungo via Tragara, Villa Certosella, fu ampliata da Jan Styka, illustratore, poeta e pittore polacco, in stile rinascimentale. A far ritrovare alla residenza il suo stile mediterraneo, rimuovendo gli elementi rinascimentali, fu Edwin Cerio che requisì la casa facendola rientrare nella tenuta Ignazio Cerio.
Risiedette alla Certosella anche Jacques d’Adelsward-Fersen prima che i lavori della sua Villa Lysis fossero completati. Con il barone Fersen si completò una sorta di cerchio ideale che da Parigi porta a Capri: l’isola diventa il rifugio di chi doveva scappare dai salotti parigini. Du Locle in fuga per la scandalosità di Carmen e Fersen per la scandalosa relazione con il suo amante di lunga data, Nino Cesarini.
Anna Maria Turra