Tra i tessuti pregiati dai colori fluo della collezione resort di Laboratorio Capri
Una sartoria dalla visione unica, che sa creare capi dall’inconfondibile stile. Michele Esposito, founder di Laboratorio Capri, ha iniziato a lavorare nella moda vent’anni fa, dopo aver lasciato l’isola delle sirene per studiare a Milano. Figlio d’arte, è cresciuto nella sartoria dei suoi genitori, Gigino e Maria Luisa, la preferita del jet set internazionale dagli anni Cinquanta in poi. Dalla tradizione di famiglia e dall’esperienza nel fashion system di Michele nasce Laboratorio Capri. Nella boutique caprese a pochi passi dalla Certosa, passando per il pop-up in Giappone e il corner a New York da Bergdorf Goodman, Laboratorio Capri incanta con la sua collezione Resort, esclusiva e originale, di abiti, pantaloni, camicie, capispalla – rigorosamente fatti a mano – e accessori dai colori brillanti con stampe pregiate e uniche. Tutto nasce grazie ad una intuizione – vincente – che riporta Michele sull’isola delle sirene, dove tutto ha avuto inizio.
Da una carriera ben avviata al ritorno a Capri, cosa è successo?
Ero direttore commerciale di una nota casa di moda, mi occupavo di marketing e vendite, viaggiavo continuamente, quando mi sono accorto che qualcosa stava cambiando. La massificazione del prodotto con la globalizzazione aveva un effetto negativo sul mondo della moda. Avevo percepito nell’aria voglia di cambiamento con i clienti che cercavano collezioni in esclusiva, capsule differenti, originali, non vetrine uguali in ogni metropoli. Tutto stava virando verso l’esclusività, intesa come non distribuita in tutto il mondo. Che è stato poi il segreto del successo della moda caprese degli anni Cinquanta.
In che senso?
Capri diventò famosa perché quelli che venivano considerati ricchi ordinavano il guardaroba estivo nelle sartorie isolane. Qui c’erano le maestranze che realizzavano artigianalmente sandali, zabattigli, il pantalone asciutto da indossare con la maglietta e uno scialle. Tutto originale, tutto realizzato qui e introvabile altrove.
Quanto resiste ancora di quell’epoca oggigiorno?
C’è uno zoccolo duro di ospiti che ama la nostra isola, la frequenta da trent’anni. Amano sentirsi a casa, tornarci anno dopo anno e essere riconosciuti, chiamati per nome, salutare il barista in piazzetta, il marinaio che li porta in barca, il concierge dell’hotel, il sarto, il pizzaiolo. Si crea una sorta di habitat estivo che è molto apprezzato. È lo stesso legame tra caprese e ospite dell’isola che ha contribuito a creare la storia del mito di Capri e che oggi sta tornando fortemente.
E su quell’impronta che nasce Laboratorio Capri?
Esatto. Sono ripartito da lì, dall’attività di famiglia. Ho riunito tutti, mia madre ha detto subito sì, mio fratello mi ha dato il suo supporto per la parte commerciale. Abbiamo ricominciato tutti daccapo, non ero mai stato un imprenditore. Pensavo, però, che era il momento giusto per rivalutare le mie prospettive ma ci ho impiegato altri due anni a cambiare vita definitivamente. Mi sono licenziato e sono ritornato in pianta stabile sull’isola. Intellettualmente libero, senza indicazioni aziendali da seguire.
Sono passati 11 anni, direi che ha avuto la giusta intuizione.
Nel 2009, una forte crisi ha cambiato le regole del gioco e l’inversione di tendenza della moda mi ha portato fortuna perché ho saputo coglierla.

Cosa porta con sé dell’esperienza dei suoi genitori?
Come i miei, anch’io punto molto sulla qualità. Tutta la parte tecnica viene dalla loro esperienza, mi hanno aiutato tantissimo. Mi occupo della parte artistica, metto sul tavolo le idee e poi con loro e con le nostre sarte ragioniamo sulla realizzazione dei capi.
Il concept di Laboratorio?
La mia filosofia è strizzare gli occhi agli anni Cinquanta. Capri me la immagino così: in technicolor, come nei film americani, icona della dolce vita. Ecco quindi colori molto forti, righe, fiori. La mia è una collezione da vacanza e tempo libero. Compri un capo che è un po’ un prolungamento della parentesi estiva, porti via un pezzettino di Capri. È un vezzo acquistare qualcosa che trovi solo qui. Sa di esclusivo dire «l’ho comprato a Capri, è fatto per me.»
Customizzare, dunque, è la chiave vincente?
Assolutamente sì. Dare la possibilità al cliente di scegliere il tessuto o la lunghezza delle maniche, per esempio. Fare in modo che sia lui stesso a «creare» l’abito partendo dalla nostra base. Gli americani, soprattutto, vanno matti per questo.
Ma cos’è per lei lo stile Capri?
È colore: il sole forte che accentua le tinte, il cielo blu, il verde intenso, è l’estate, è il concetto di vacanza.
C’è un capo che porta nel cuore?
Ho un tessuto che amo. I miei genitori avevano ricevuto in dono un cofanetto con una serie di cartoline di Capri degli anni Cinquanta. Ci ho messo due anni ma ci sono riuscito. Le ho trasformate in un tessuto: doveva essere la fodera di seta di alcuni cappotti ma quando è arrivato l’ho trovato così bello da realizzare qualche capo di prova. La gente è impazzita. Ora è la stampa iconica di Laboratorio Capri.
E per il futuro?
Ci saranno altre collaborazioni come quella con Eco Capri. Mi sono divertito moltissimo a reinterpretare in chiave pop i disegni di Laetitia Cerio. Adesso stiamo lavorando ad altre due capsule collection che, però, sono ancora top secret.
Claudia Catuogno