Il bagnino del «Lido del Faro» da più di quarant’anni sempre pronto a rischiare la vita per salvare il prossimo
Quando al Faro di Punta Carena il mare è in tempesta, la natura mette in mostra la sua potenza con onde altissime che si infrangono sugli scogli. Lo spettacolo, soprattutto d’inverno, quando il mare è in burrasca, è straordinario. D’estate, però, quando i venti di libeccio e ponente sono più forti del solito, è Raffaele Palumbo a decidere se issare la bandiera rossa e vietare il bagno nella suggestiva cala anacaprese dominata dal Faro.
La passione per il mare
Raffaele Palumbo, soprannominato «Raffaele ì Catald» dai ciammurri (è così che vengono chiamati in dialetto gli anacapresi) è una garanzia: un isolano doc dal corpo possente, sempre abbronzato, con profondi occhi chiari e grandi baffi spioventi che ha salvato numerose vite umane nel corso della sua lunga carriera professionale di bagnino. La sua indole ribelle e il suo amore per il mare – e forse anche il destino – lo hanno portato a scegliere un lavoro che è divenuto la sua ragione di vita. Da ragazzo aiutava suo padre nei campi di Pino, ma il suo unico pensiero era il mare: non vedeva l’ora di tuffarsi e raggiungere a nuoto Punta Carena, dove lo aspettava il suo cane che, correndo lungo le stradine interne del quartiere, gli portava i vestiti e i sandali.
I salvataggi
Poco più che ventenne ha cominciato a lavorare come bagnino nello stabilimento «Lido del Faro». Era diventato papà da pochi giorni, quando Nello D’Esposito, il proprietario del beach club anacaprese, lo raggiunse in ospedale per condurlo in tutta fretta al Faro dove un tale Giovannino stava per annegare.
«Il salvataggio», racconta Raffaele «fu l’inizio di un forte legame con Nello», un sodalizio professionale e personale che dura tutt’ora. Raffaele, che non ama parlare e vantarsi delle sue imprese, confessa che di persone ne ha salvate davvero tante, forse più un centinaio, e che alcuni di loro sicuramente non ce l’avrebbero fatta senza il suo intervento. «Non ho mai dubitato un secondo prima di buttarmi in acqua per salvare la vita al prossimo», anzi ha messo a repentaglio la sua, anche quando era issata la bandierina rossa e la fune sulla spiaggia segnalava ai bagnanti il limite di sicurezza per non arrivare troppo vicino alla furia del mare in tempesta.
Raffaele non ha mai esitato. Di giornate trascorse al Faro ne ha vissute a migliaia e di «maraglioni», come li chiama lui, ne ha visti altrettanti: sa esattamente come comportarsi quando qualcuno è in pericolo.
«Con le funi lo trasciniamo fuori dall’acqua e poi lo tiriamo su per il Capodoglio» – così descrive una delle tecniche utilizzate durante i salvataggi, quando riuscivano a portare in salvo sugli scogli i malcapitati bagnanti. «Altre volte, invece, mi spingevo più a largo possibile e poi mi dirigevo, tenendo su la persona con le braccia, verso Marina Piccola», ricorda.
L’omaggio al Capodoglio
Dopo una lunga giornata di lavoro trascorsa sotto il sole cocente di Punta Carena, Raffaele si concede una lunga nuotata a largo e qualche volta regala ai bagnanti il suo spettacolare tuffo dal Capodoglio – lo scoglio più alto della zona – perfetto come le leggende dei vicoletti narrano.
Punta Carena, con la sua spiaggia dalle rocce frastagliate, il suo mare profondo ed i fantastici tramonti che regala è un posto unico al mondo. Il Faro rosso, uno dei più luminosi d’Italia con una portata di venticinque miglia nautiche, è punto di riferimento per i navigatori, ma i suoi segnali ottici possono indicare anche pericolo. Raffaele è l’altro «Faro» di Punta Carena: imponente e instancabile è sempre lì, irremovibile, che guarda il mare.
Emanuela De Martino