Carlo D’Oriano e la sua vita a Punta Carena a vivere le stagioni senza mezze misure
L’uomo della luce sussurra poche parole che sanno di vita vissuta e ha gli occhi che gli brillano, quando riannoda il filo della memoria. D’Oriano Carlo, classe 1954: professione farista. Uno degli ultimi, s’intende, ché la tecnologia ha dato uno scossone a quella figura romantica e forse desueta che ha ispirato, dalla notte dei tempi, scrittori e artisti. Dice, per esempio, che quella luce gli manca. Quale, esattamente? «La luce del mio faro, che aiutava le imbarcazioni a orientarsi. Ma anche la luce dei tramonti infiniti, che da Punta Carena sono uno spettacolo mozzafiato».
Farista ad Anacapri Carlo lo è stato dal 2005 al 2019, quattordici anni di privilegiate solitudini sul mare pettinato dalla brezza autunnale o sostenuto con forza dal maestrale di dicembre, ché le isole questo hanno di bello, soprattutto: vivono le stagioni nella loro piena interezza, senza mezze misure. Ora che è in pensione, tornato nella sua Formia e sostituito dai dispositivi automatici, tutto questo non può che mancargli. «Nostalgia? Certo che sì. Sa che capita che qualcuno mi chiami ancora, segnalandomi un guasto temporaneo all’impianto o perché magari vorrebbe farmi un cenno dalla sua imbarcazione che lambisce Capri? Mi dicono: ‘Carlo, vedere spente le luci del tuo appartamento è una sensazione bruttissima’. Ecco, io credo che le isole abbiano ancora bisogno dei faristi: presidiare un impianto del genere, essere sul posto in caso di problemi tecnici è fondamentale. Quando me ne sono andato, è stato come chiudere per sempre la porta di casa mia: era dal 1863 che quel faro era sempre presidiato dall’uomo, lo sa?».
Lo scrittore peruviano Sergio Bambarén sostiene che da qualche parte esista un guardiano del faro che conserva tutti i messaggi in bottiglia sospinti dal mare e che li rilegga di notte insieme alla sua amata sirena. Carlo attinge, piuttosto, alle indelebili immagini della sua vita da farista, a cominciare «da quei lunghi pomeriggi estivi in cui i vecchi venivano a giocare a carte sui tre ruote (dice proprio così, ndr) e trascorrevamo le ore raccontandoci e raccontando, immersi in uno scenario da favola».
Progettato dagli ingegneri borbonici, il faro di Punta Carena è – per dimensioni e potenza – secondo solo a quello di Genova, su scala nazionale. Il meccanismo è semplicemente efficace: l’ottica rotante emette lampi di luce bianca ogni tre secondi, visibili a una distanza di 24 miglia marine, circa cinquanta chilometri. «Quel faro è un punto di riferimento fondamentale per fare rotta verso Napoli dopo essersi lasciati alle spalle le grande bocche», spiega Carlo, e nelle sue parole c’è ancora un pizzico di malcelato orgoglio, perché del resto ci sono incarichi che durano a vita, mica basta andar via per cambiare identità. Ecco, lui farista lo è ancora.
«Ho vissuto in quella torre ottagonale – racconta – in simbiosi con il rosso pompeiano degli esterni, intervallato dalle fasce bianche, e quella pietra lavica degli interni, tutti amagnetici, senza ferro. Ventiquattro ore su ventiquattro, disponibile sempre. Essere farista vuol dire anche sbrigare pratiche e fare servizio d’ufficio, mica solo controllare l’accensione delle luci. Io ero anche responsabile delle luci all’ingresso del porto di Marina Grande e sul capo Tiberio».
D’Oriano aveva iniziato la sua carriera nella Marina Militare nel 1977: sottoufficiale della Capitaneria di Porto sia su navi da guerra che in Guardia Costiera, nostromo presso la base Nato di Gaeta, poi di stanza a Capri. «Qui ho conosciuto Claudia, isolana: è diventata mia moglie. Abbiamo due figlie: la più grande, Simona, ha sposato un caprese, è rimasta sull’isola. Alla più piccola ho dato il nome dell’isola, Azzurra». Tu chiamale, se vuoi, affinità elettive. L’ultimo farista ha scelto Capri e l’isola ha scelto lui. «Sacrifici? Certo che ne abbiamo fatti. L’isola d’inverno ha i suoi svantaggi, bisogna fare i conti con lunghe solitudini ripagate dalla meraviglia del mare, spesso in tempesta. D’estate, albe e tramonti che riconciliano con la vita. Sa che manco a Capri da due anni? Colpa anche della pandemia, rimedierò presto: ho tantissimi amici. Se mi sento esemplare rarissimo di una specie in via di estinzione? Sì, assolutamente: Anzio, Castellammare di Stabia e Salerno hanno rinunciato a questa figura, resiste il farista del Circeo, prossimo alla pensione».
Di Carlo aveva parlato, qualche anno fa, anche la CNN. Sottolineando come nel Regno Unito sia addirittura dal 1998 che l’ultimo farista ha lasciato il suo posto, esattamente al North Foreland Lighthouse, nel Kent. «In tutto oggi sono rimasti 200 faristi al mondo», dichiarò Ian Duff, presidente della International Association of Lighthouse Keepers, la romanticissima associazione mondiale dei faristi. Custodi di antiche bellezze, uomini della provvidenza per naviganti senza bussola, ambasciatori di isole lontane e vicine. Proprio come Carlo, l’uomo della luce, l’ultimo farista di Anacapri, che col pensiero è ancora lì, a Punta Carena: non c’è tecnologia che tenga, non per i sentimenti.
Pasquale Raicaldo
Credit:
- Costantino Esposito
- Denis Dubtrix da Flickr