Il racconto del sommozzatore partenopeo che riportò alla luce i resti di un’antica statua nelle acque profonde della Grotta Azzurra
Sei immerso nelle tenebre di una grotta sottomarina a Capri. Un modesto faretto illumina debolmente la piccozza con cui stai ripulendo questa strana roccia che si presenta con una vaga forma umana. Scalfisci un angolo del presunto manufatto e da sotto alle incrostazioni emerge la candida e inconfondibile superficie del purissimo marmo. A questo punto solo un navigato esploratore degli abissi come il sommozzatore partenopeo Mario Rosiello potrebbe essere in grado di tenere a bada l’euforia. Lui sa bene che nei fondali non si scherza e bisogna sempre mantenere il controllo. Ma quando nel dicembre del 1975 capì di aver scoperto i resti di un’antica statua nelle acque profonde della Grotta Azzurra, dovette faticare anch’egli per non lasciarsi travolgere dalle emozioni, nonostante avesse già al suo attivo numerose scoperte archeologiche nei mari e nei fiumi della Campania.
Sulle tracce dei monaci
«Tutto cominciò» – racconta Rosiello – «quando l’amico Armando Caròla, che aveva a disposizione una ricchissima biblioteca di famiglia, rinvenne un libro scritto nell’Ottocento dal tedesco August Kopisch dal titolo La scoperta della Grotta Azzurra a Capri. In questo libro l’autore racconta come alcuni monaci dell’isola vollero “sfidare” il diavolo calandosi con una botte nell’antro. Giunti all’interno ammirarono la presenza di un altare con antichi simulacri. Armando rimase colpito da questa descrizione e mi informò che era sua intenzione avventurarsi nella Grotta Azzurra alla ricerca di queste aree votive; decisione avallata anche dalla scoperta, nel 1964 ad opera dei sub Raniero Maltini e Piero Solaini, di due statue d’epoca romana.»
Nella Grotta coi pescatori locali
A metà degli anni Settanta, il posillipino Rosiello era poco più che trentenne, ma già aveva dimostrato di possedere il fiuto dell’archeologo, rinvenendo preziosi reperti romani e statue nelle acque di Baia e dei fiumi Sele e Garigliano. Imprese che ha narrato in un libro intervista (Una vita per il mare e per i suoi tesori sommersi) curato dal giornalista Antonio Cangiano e pubblicato da New Media Edizioni. Oggi rievoca la spedizione caprese con pacatezza, novello Nettuno nascosto dietro la sua lunga barba grigia. «Giunti sull’isola» – ci confida – «coinvolgemmo nella nostra avventura due pescatori locali che abitualmente accompagnavano i turisti all’interno della Grotta Azzurra. Loro erano ignari di quello che l’antro anacaprese ancora nascondeva; sapevano del ritrovamento delle due statue, anche perché fu pubblicizzato dai giornali, ma poi niente altro.»
Le piccozze rivelatrici
Condotti nell’antro marino dai barcaioli ingaggiati con un compenso di quarantamila lire ciascuno, Mario e Armando si prepararono per la difficile immersione. «Avevamo con noi dei fari “artigianali” un po’ diversi da quelli utilizzati oggi. Portammo anche due piccozze necessarie per verificare, con una lieve scalfittura, se quello che trovavamo era marmo o meno, perché sott’acqua ad una profondità di 26 metri, dove tutto è buio, non era facile comprendere in cosa ci si imbatteva. Tant’è vero che la statua che poi ritrovammo, raffigurante un tritone, lateralmente ha una “pizzicata” di prova. Ricordo che la statua, sotto il primo strato superficiale, era bianchissima, puro marmo “zuccherino”.»
Gli occhi ritrovati
La scultura apparteneva probabilmente ad un ninfeo, un suggestivo complesso votivo che gli antichi allestirono nella parte emersa della grotta marina. Oggi è esposta nella Casa Rossa di Anacapri insieme alle altre statue rinvenute tra il 1964 e il 1976 nella caverna più famosa dell’isola. Chiunque può osservarla da vicino e rivivere per qualche attimo i riti sacri che si svolgevano al suo cospetto. Però è decisamente un’altra cosa trovarsela tra le mani a 26 metri di profondità, dopo duemila anni di oblio. È come ritrovare un vecchio amico che quasi cerca di parlarti con il suo sguardo di pietra. «Per questo – ammette con un sorriso Rosiello – quando ho visto per la prima volta la profondità dei sui occhi, il cuore è andato a mille!»
Marco Molino